
La vita sui ghiacciai è molto più complessa di quanto si possa immaginare. Un team di studiosi, guidato da ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca, ha scoperto che sul ghiacciaio dei Forni in Italia e su quello del Baltoro nel Kashmir, i processi metabolici legati all’energia e al carbonio attivi sulle superfici ghiacciate non sono due, ma quattro: respirazione, fotosintesi ossigenica, un metabolismo fotosintetico che non produce ossigeno e, infine, l’ossidazione del monossido di carbonio.
Per ottenere questi risultati, i ricercatori del DISAT (Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e del Territorio e di Scienze della Terra dell’Università di Milano-Bicocca), coordinati da Andrea Franzetti e Roberto Ambrosini, in collaborazione con alcuni colleghi dell’Università degli Studi di Milano e dell’Accademia delle Scienze Bavarese, hanno utilizzato tecniche avanzate di sequenziamento del DNA e tecnologie di supercalcolo. La scoperta, appena pubblicata sulla rivista ISME Journal del gruppo Nature (DOI: 10.1038/ismej.2016.72), ha importanti implicazioni: se la presenza di questi metabolismi alternativi fosse verificata in tutte o nella maggior parte delle aree ghiacciate del mondo – che rappresentano complessivamente il 10% delle terre emerse – sarebbe necessario ricalcolare il contributo complessivo dei ghiacci a fenomeni di cruciale importanza come l’effetto serra e il riscaldamento globale.
Fino a oggi si pensava che i metabolismi dei batteri sui ghiacciai fossero due: la fotosintesi ossigenica, che, come la fotosintesi clorofilliana studiata a scuola, vede i microrganismi consumare anidride carbonica (CO2) ed energia solare per produrre ossigeno, e la respirazione, con cui utilizzano ossigeno e sostanza organica producendo CO2. Invece, ne sono stati individuati quattro: oltre ai due già noti, è stato scoperto un metabolismo fotosintetico diverso, che non produce ossigeno e consente ad alcuni microrganismi di crescere utilizzando la sostanza organica e l’energia della luce solare. Inoltre, è stata individuata l’ossidazione del monossido di carbonio, utilizzato dai batteri come fonte di crescita, prodotto in quegli ambienti dalla degradazione della sostanza organica causata dall’intensa luce solare.
Gli ecosistemi studiati sono il ghiacciaio dei Forni, in Lombardia, che negli ultimi decenni si è ritirato visibilmente, e il ghiacciaio del Baltoro, nel Kashmir, sul versante pakistano, che, come molti altri ghiacciai della zona, tende a rimanere più o meno stabile, evidenziando il fenomeno noto come “Anomalia del Karakorum”.
È il primo studio al mondo ad applicare tecniche di sequenziamento massivo del DNA ai sedimenti sovraglaciali. Grazie a una dozzina di provette, riempite a 2700 metri di altitudine sul ghiacciaio dei Forni e a 5000 metri sul ghiacciaio del Baltoro, contenenti materiale estratto da piccole depressioni nel ghiaccio di origine naturale – le coppette crioconitiche – è oggi possibile analizzare la “carta d’identità” genetica dell’intero ecosistema e ricostruirne il metagenoma, ovvero il DNA di tutti gli organismi presenti sulla sua superficie. Si tratta di un “data set” enorme, utile per numerosi studi: da una tabella con un milione e mezzo di righe di frammenti di DNA a un Terabyte di dati ricombinati e interpretati secondo metodi scientifici. L’analisi avviene mediante moderne tecniche di sequenziamento e bioinformatica, rese possibili dall’enorme potenza di calcolo di server come quelli del Consorzio interuniversitario Cineca. In inglese, queste tecniche sono note come Next-generation sequencing, ovvero sequenziamento massivo o parallelo, letteralmente tradotto come “di nuova generazione”.
L’importanza di questi studi risiede anche nel fatto che i ghiacciai non sono mondi isolati, ma influenzano gli ecosistemi a valle e fungono da “frigoriferi naturali”: gli inquinanti, intrappolati nel ghiaccio, vengono conservati proprio come in un freezer. In alcuni casi, è ancora possibile ritrovare tracce di DDT, nonostante l’insetticida sia stato bandito in Europa da decenni. I batteri che vivono nel ghiaccio possono influenzare vari processi chimici e fisici; inoltre, la crescita batterica ha un impatto significativo sull’annerimento del ghiaccio, un fenomeno che accelera il processo di fusione. Infine, il bilancio dei metabolismi del carbonio nei ghiacciai contribuisce a determinare il loro impatto sull’effetto serra.
I dati raccolti permettono di orientarsi verso nuovi obiettivi ambiziosi, già al centro dell’attenzione dei ricercatori. Tra i più rilevanti vi è lo studio della relazione tra batteri e inquinanti, oltre all’analisi della dispersione nell’ambiente di microrganismi resistenti agli antibiotici, un problema emergente sia dal punto di vista chimico che medico.
«I ghiacciai non sono ambienti privi di vita – spiega Roberto Ambrosini – ma ospitano comunità complesse, costituite principalmente da batteri. La loro crescita e i loro metabolismi possono influenzare significativamente l’annerimento del ghiaccio, il suo scioglimento e il mantenimento di funzioni ecologiche essenziali per gli ecosistemi a valle».
«Queste comunità batteriche – sostiene Andrea Franzetti – sono persino più versatili di quanto ipotizzato finora. La luce non solo favorisce la fissazione dell’anidride carbonica, ma supporta anche le necessità energetiche di altri microrganismi attraverso un processo di fotosintesi aerobica anossigenica. Inoltre, in aree con intensa radiazione solare, si possono individuare batteri in grado di completare l’ossidazione del monossido di carbonio ad anidride carbonica».