Mauro Rostagno, il giornalista vestito di bianco

 

Quando fu assassinato il 26 settembre 1988, aveva quarantasei anni e molte esperienze alle spalle. L’ultima, la più intensa, Mauro Rostagno la visse a Trapani. Lo racconta il documentario “Mauro Rostagno, il giornalista vestito di bianco” realizzato da Antonio Carbone per il ciclo “Diario Civile”, in onda mercoledì 28 settembre alle 22.10 su Rai Storia, con un’introduzione del Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti.

Nel capoluogo siciliano, Rostagno arrivò dopo un percorso travagliato. Leader con Renato Curcio del ’68 a Trento, dove si era trasferito da Torino per frequentare la nuova facoltà di sociologia, fondatore di Lotta Continua con Adriano Sofri, animatore del famoso centro culturale milanese, Macondo, punto di ritrovo di molti delusi dalla politica. Poi la scoperta delle filosofie orientali, il viaggio in India con la compagna, Chicca Roveri, la figlia Maddalena e l’amico Francesco Cardella. Infine l’ultimo approdo in Sicilia, a Lenzi, in provincia di Trapani, per dar vita a una comunità di arancioni, la Saman, che trasformò in una comunità per il recupero dei tossicodipendenti.

Ma l’impegno di Rostagno non si arrestò: gli bastò partecipare a una trasmissione di una piccola televisione locale, “RTC”, per capire la forza di questo mezzo. E così si reinventò giornalista, la sua passione di sempre, e dagli schermi di “RTC” iniziò a denunciare le collusioni tra la mafia e la politica locale. La sua trasmissione seguì, per esempio, tutte le udienze del processo per l’omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari, nel quale erano imputati i boss mafiosi Nitto Santapaola e Mariano Agate. Ma quanto di queste trame oscure aveva intuito Mauro Rostagno? Fu vittima di un omicidio preventivo per ciò che di lì a poco si apprestava a rivelare? Che cosa conteneva la videocassetta con la scritta “Non toccare” che conservava sulla scrivania e che dopo la sua morte è scomparsa? Di sicuro, sono in molti a testimoniarlo, negli ultimi mesi della sua vita aveva scoperto qualcosa di molto importante. “Quella videocassetta io me la ricordo benissimo, era sul suo tavolo accanto alla foto della figlia”. A distanza di 27 anni, Gianni Di Malta – il cameraman di “RTC” che lavorò con Rostagno fino alla fine – non ha dubbi sull’esistenza di questa cassetta. Anche le motivazioni della sentenza hanno ipotizzato che quella cassetta potesse contenere l’ultimo scoop del giornalista vestito di bianco. “Sono sempre stato convinto che non fu un omicidio solo di mafia”, dichiara l’ex Procuratore aggiunto Antonio Ingroia che ha istruito il processo, lasciando intravedere uno scenario più complesso, in cui diversi depistaggi hanno contribuito a evitare che si facesse piena luce su questo omicidio.