Arriva in Italia Hannah Arendt il film della Von Trotta: in sala solo il 27 e 28 gennaio #film news

Dopo la presentazione in anteprima al Bari International Film
Festival 2013

Il
nuovo film di Margarethe Von Trotta “HANNAH ARENDT”

sarà
distribuito in Italia da RIPLEY’S FILM e NEXO DIGITAL

Barbara Sukowa

solo
per due giorni il 27 ed il 28 gennaio 2014 come evento cinematografico in
occasione della Giornata della Memoria

Elenco
delle sale a breve disponibile su www.nexodigital.it.

La
regista Margarethe Von Trotta sarà a Roma MERCOLEDI’ 15 GENNAIO per la
promozione del film.

SINOSSI

Scappata
dagli orrori della Germania nazista, la filosofa ebreo-tedesca Hannah Arendt nel
1940 trova rifugio insieme al marito e alla madre negli Stati Uniti, grazie
all’aiuto del giornalista americano Varian Fry. Qui, dopo aver lavorato come
tutor universitario ed essere divenuta attivista della comunità ebraica di New
York, comincia a collaborare con alcune testate giornalistiche. Come inviata del
New Yorker in Israele, Hannah si ritrova così a seguire da vicino il processo
contro il funzionario nazista Adolf Eichmann, da cui prende spunto per scrivere
La banalità del male, un libro che andrà incontro a molte
controversie.

                                   HANNAH ARENDT

 un film di

MARGARETHE
VON TROTTA

con

   
BARBARA         AXEL
            JANET             JULIA          ULRICH           MICHAEL

 SUKOWA  
MILBERG  
McTEER   JENTSCH   NOETHEN  
DEGEN     

  

una
distribuzione

Via Don Filippo Rinaldi,
9 – 00181 ROMA

Tel. 06 78441401 – Fax 06
78 441430

info@ripleysfilm.it

www.ripley.it

Hannah Arendt

BARBARA SUKOWA

Heinrich Blücher

AXEL MILBERG

Mary McCarthy

JANET McTEER

Lotte Köhler

JULIA JENTSCH

Hans Jonas

ULRICH NOETHEN

Kurt Blumenfeld

MICHAEL
DEGEN

CAST TECNICO

Regia

MARGARETHE VON TROTTA

Sceneggiatura

PAM KATZ

MARGARETHE VON TROTTA

Fotografia

CAROLINE CHAMPETIER

Costumi

FRAUKE FIRL

Scenografie

VOLKER SCHAEFER

Suono

GREG VITTORE

Compositore

ANDRÉ MERGENTHALER

Montaggio

BETTINA BÖHLER

Prodotto da

BETTINA BROKEMPER

Co-produttori

BADY MINCK

ALEXANDER DUMREICHER – IVANCEANU

ANTOINE
DE CLERMONT – TONNERRE

SOPHIE DULAC

MICHEL ZANA

DAVID SILBER

una produzione

HEIMATFILM

in co-produzione con

AMOUR
FOU LUXEMBOURG

MACT
PRODUCTIONS

SOPHIE
DULAC PRODUCTIONS

METROCOMMUNICATIONS

e

ARD
DEGETO

BR

WDR

Genere

Drammatico / Biografico

Nazionalità

Germania, 2012

DATI TECNICI

Aspect ratio

Cinemascope

Suono

5.1 / Dolby-SRD

Lunghezza

113’ 30’’ / 24fps / 3260 mt, 6 rulli

Lingua

Tedesco e inglese


SINOSSI

Scappata dagli orrori della Germania
nazista, la filosofa ebreo-tedesca Hannah Arendt nel 1940 trova rifugio insieme
al marito e alla madre negli Stati Uniti, grazie all’aiuto del giornalista
americano Varian Fry. Qui, dopo aver lavorato come tutor universitario ed
essere divenuta attivista della comunità ebraica di New York, comincia a
collaborare con alcune testate giornalistiche. Come inviata del New Yorker
in Israele, Hannah si ritrova così a seguire da vicino il processo  contro
il funzionario nazista Adolf Eichmann, da cui prende spunto per scrivere La
banalità del male
, un libro che andrà incontro a molte controversie. 

La Storia

HANNAH ARENDT è il ritratto del genio che sconvolse il mondo,
grazie alla sua scoperta della “banalità del male”. Dopo aver assistito
al processo al nazista Adolf Eichmann, svoltosi a Gerusalemme, la Arendt osò
scrivere dell’Olocausto con parole che non si erano mai sentite prima. Il suo
lavoro provocò immediatamente uno scandalo, ma la Arendt non ritrattò,
nonostante gli attacchi di amici e nemici. In quanto ebrea tedesca emigrata,
lei aveva difficoltà a recidere i suoi legami dolorosi con il passato e il film
mette in mostra il suo affascinante mix di arroganza e vulnerabilità, rivelando
un’anima formata e sconvolta dall’esilio.

La pellicola mostra Hannah Arendt
(Barbara Sukowa) nel corso dei quattro anni (dal 1961 al 1964), in cui assiste,
scrive e sopporta la reazione nei confronti del suo lavoro sul processo al
criminale di guerra nazista Adolf Eichmann. Osservando la Arendt mentre
partecipa al processo, rimanendo al suo fianco mentre viene contestata dai suoi
critici e sostenuta da una ristretta cerchia di amici fedeli, avvertiamo
l’intensità di questa donna ebrea forte, fuggita dalla Germania nazista nel
1933.

Un’accanita fumatrice e una donna
orgogliosa, la Arendt è felice e ha successo in America, ma la sua visione penetrante
la rende un’outsider dovunque vada. Quando scopre che il Servizio segreto
israeliano ha rapito Adolf Eichmann a Buenos Aires e lo ha portato a
Gerusalemme, è determinata a raccontare il processo. William Shawn (Nicholas
Woodeson), responsabile della rivista New Yorker, è eccitato di avere una
stimata intellettuale a occuparsi di questo processo storico, ma il marito
della Arendt, Heinrich Blücher (Axel Milberg), non condivide questo suo
entusiasmo. Lui è preoccupato che questo incontro riporterà la sua amata Hannah
a quelli che entrambi definiscono i “tempi oscuri”. 

La Arendt entra in questo infuocato
tribunale di Gerusalemme aspettandosi di vedere un mostro, ma invece scopre una
nullità. La sciatta mediocrità di quest’uomo non coincide con la profonda
malvagità delle sue azioni, ma capisce rapidamente che questo contrasto è
proprio l’enigma che bisogna risolvere. Ritornata a New York, iniziando a
comunicare la sua interpretazione rivoluzionaria di Adolf Eichmann, la paura si
impadronisce del suo migliore amico, Hans Jonas (Ulrich Noethen). Lui la mette
in guardia, dicendole che il suo approccio filosofico genererà soltanto
confusione. Ma la Arendt difende il suo punto di vista coraggioso e originale,
convincendo Heinrich a sostenerla in questo percorso. Dopo due anni di pensieri
intensi, ulteriori letture e dibattiti con la sua migliore amica americana,
Mary McCarthy (Janet McTeer), il ricercatore e amico tedesco, Lotte Köhler
(Julia Jentsch) e, ovviamente, un confronto costante con Heinrich, consegna
finalmente il manoscritto. La pubblicazione dell’articolo sul New Yorker
provoca immediatamente uno scandalo negli Stati Uniti e in Israele, per poi
estendersi al resto del mondo. 

HANNAH ARENDT fornisce uno sguardo
sull’importanza profonda delle sue idee, ma è soprattutto la commovente
possibilità di capire il cuore caloroso e la brillantezza glaciale di questa
donna complessa e profondamente affascinante.

NOTE DI
REGIA

La luce che proviene dalle opere di una persona si
diffonde nel mondo e rimane anche dopo la sua morte. Che sia grande o piccola,
effimera o duratura, dipende dal mondo e dai suoi metodi. Ai posteri l’ardua
sentenza.

La luce che proviene dalla vita di una persona – le
parole dette, i gesti, le amicizie – sopravvive soltanto nei ricordi. Se deve
entrare in questo mondo, ha bisogno di trovare una forma nuova. Una storia deve
essere composta da tanti ricordi e storie.

(Elisabeth Young-Bruehl;
autrice della biografia “Hannah Arendt”).

Un film su Hannah Arendt e perché.

La luce del lavoro che Hannah Arendt ha
trasmesso al mondo brilla ancora. E visto che il suo lavoro viene citato da un
numero sempre crescente di persone, diventa più luminoso ogni giorno che passa.
In un’epoca in cui molte persone si sentono obbligate ad aderire a un’ideologia
precisa, la Arendt rappresentava un esempio luminoso di qualcuno che rimane
fedele alla sua visione particolare del mondo.

Nel 1983, volevo realizzare un film su
Rosa Luxemburg, perché ero convinta che fosse la donna e pensatrice più
importante dello scorso secolo. Io desideravo comprendere la donna dietro alla
combattente rivoluzionaria. Ma ora, agli inizi del ventunesimo secolo, Hannah
Arendt è una figura anche più importante. La sua visione e profondità iniziano
a essere capite e affrontate correttamente solo adesso. Quando formulò per la
prima volta il concetto de “la banalità del male” – un termine che aveva
coniato nel suo reportage sul processo a Eichmann – venne criticata aspramente
e attaccata, come se fosse una nemica del popolo ebraico. Oggi, questo concetto
è diventato una componente essenziale di qualsiasi discussione che tenta di
giudicare i crimini dei nazisti. 

E, ancora una volta, io ero interessata
a trovare la donna dietro a questa grande pensatrice indipendente. Lei era nata
in Germania e morta a New York. Cosa la portò lì?

In quanto ebrea, non ha certo lasciato la Germania di sua
spontanea volontà e per questa ragione, la sua storia suscita una domanda che
mi sono posta in tanti altri miei film: come si comporta una persona di fronte
a eventi sociali e storici che non può influenzare o cambiare? Come tanti altri
ebrei, la Arendt avrebbe potuto diventare una vittima del nazionalsocialismo,
ma si rese conto del pericolo e abbandonò la Germania per recarsi a Parigi.
Quando la Francia venne invasa, lei scappò a Marsiglia e, passando attraverso
la Spagna e il Portogallo, arrivò finalmente a New York. Mentre fuggiva,
pensava amaramente ai tanti amici che avevano scelto di rimanere e sostenere i
nazisti. Lei era molto delusa, constatando quanto rapidamente si adattavano a
una “nuova era”, descrivendo questo fenomeno in un’intervista come “Zu Hitler
fiel ihnen was ein”. Voleva dire che, per giustificare la loro decisione, “si
facevano delle idee false su Hitler”.

L’esilio rappresentò la sua “seconda
nascita”. La prima trasformazione nella sua vita avvenne quando studiò
filosofia con Martin Heidegger. A quell’epoca, la sua vocazione era inseguire
il pensiero puro. Ma dopo l’esilio forzato, non aveva scelta, se non quella di
impegnarsi negli eventi concreti del mondo. Nel 1960, quando si sentì
finalmente a suo agio in America, era pronta ad affrontare uno dei capitoli più
tragici del ventesimo secolo. Lei avrebbe osservato direttamente l’uomo il cui
nome evocava l’assassinio di milioni di ebrei: Adolf Eichmann.

Il nostro film si concentra su quei quattro anni turbolenti, in
cui le vite della Arendt e di Eichmann si incrociano. Questo ci offriva
l’opportunità di raccontare una storia che portasse a una comprensione profonda
dell’impatto storico ed emotivo suscitato da questo confronto esplosivo. Quando
la pensatrice originale e priva di compromessi si ritrova di fronte al
burocrate sottomesso e ligio al dovere, sia la Arendt che il discorso
sull’Olocausto cambiano per sempre. In Eichmann, lei ha visto un uomo il cui
mix fatale di obbedienza e incapacità di pensare in maniera autonoma
(“Gedankenlosigkeit”)  gli ha permesso di
trasportare milioni di persone verso le camere a gas.

Ritrarre Hannah Arendt quasi esclusivamente
nel periodo che inizia con la cattura di Eichmann e termina poco dopo la
pubblicazione del suo libro La banalità del male: Eichmann a
Gerusalemme, ha reso possibile non solo investigare il suo lavoro
rivoluzionario, ma anche rivelare il suo carattere e la sua personalità.
Abbiamo modo di conoscerla come donna, come compagna di vita e, cosa più
importante per lei, come amica. Alcuni flashback ci riportano agli anni venti e
cinquanta – in cui vediamo la relazione appassionata di una giovane Hannah con
Martin Heidegger — così come il loro incontro diversi anni dopo la conclusione
della guerra. Lei non riusciva a troncare il rapporto con Heidegger, nonostante
lui avesse aderito al partito nazionalsocialista nel 1933. Questi flashback
sono importanti per capire il passato della Arendt, ma il film è incentrato
soprattutto sulla sua vita a New York assieme al marito Heinrich Blücher, che
lei aveva incontrato quando era esule a Parigi, ai suoi amici tedeschi e
americani, soprattutto l’autrice Mary McCarthy, e al suo amico di lunga data,
il filosofo ebreo tedesco Hans Jonas.

Questo è un film che mostra Hannah
Arendt come una persona divisa tra i suoi pensieri e le sue emozioni, tanto da
dover spesso separare l’intelletto dai sentimenti. La vediamo come una pensatrice
e insegnante appassionata; una donna capace di un’amicizia che dura tutta la
vita – qualcuno l’aveva definita un “genio dell’amicizia” – ma anche una
combattente, che in maniera coraggiosa difendeva le sue idee e non si sottraeva
a nessun confronto. Il suo obiettivo era sempre quello di capire. La sua frase
caratteristica, “io voglio capire”, è quella che la descrive meglio.

Ed è proprio la sua ricerca per
comprendere le persone e il mondo che mi attiravano. Come la Arendt, io non
voglio giudicare, ma soltanto capire. In questo film, per esempio, voglio
capire quello che Hannah Arendt pensava sul totalitarismo e il collasso morale
dello scorso secolo: sull’autodeterminazione e la libertà di scelta; e quello
che è riuscita a rivelare del male e dell’amore. Spero che il pubblico arrivi a
capire, come è capitato a me, perché è così importante ricordare questa grande
pensatrice.

La chiave per comprendere la sua vita è
il desiderio della Arendt di rimanere fedele a quello che definiva “amor
mundi”, l’amore del mondo. Sebbene il suo esilio forzato l abbia portata a
essere vulnerabile e a soffrire di alienazione, ha continuato a credere nel
potere dell’individuo di sopportare la forza crudele della storia. Il suo
rifiuto di farsi sopraffare dalla disperazione e dalla mancanza di speranza la
rendono, ai miei occhi, una donna straordinaria, la cui “luce brilla ancora
oggi”. Una donna che può amare ed essere amata. E una donna che può, come si è
definita, “pensare senza steccati”. Insomma, una pensatrice indipendente.

Per offrire una visione autentica della
Arendt come essere umano, abbiamo dovuto andare oltre le tantissime risorse
scritte e audiovisive trovate negli archivi. Quindi, dopo un lungo periodo di
ricerche tradizionali, abbiamo svolto delle interviste importanti con delle
persone contemporanee, che hanno fatto parte della vita e del lavoro di Hannah
Arendt per tanti anni.


INTERVISTA A MARGARETHE VON TROTTA

I suoi film quasi sempre mostrano un
confronto intenso con delle figure storiche significative – Rosa Luxemburg,
Hildegard von Bingen, le sorelle Ensslin … Cosa la emozionava in Hannah Arendt?

La questione di come realizzare un film su una donna che
pensa, come osservare una donna che è dedita principalmente al pensiero.
Ovviamente, avevo anche paura di non renderle giustizia. Questo ha reso il
ritratto cinematografico molto più difficile, per esempio, rispetto a quello di
Rosa Luxemburg. Entrambe erano molto intelligenti e uniche, dotate della
capacità di amare e stringere amicizia, delle pensatrici e oratrici
provocatorie. La vita di Hannah Arendt non è stata drammatica come quella di
Rosa Luxemburg – ma è stata importante e commovente.

Per
saperne di più su di lei, non solo ho letto i suoi libri e le sue lettere, ma
anche cercato di trovare persone che la conoscessero. Attraverso queste
conversazioni, ho scoperto gradualmente quello che volevo dire di lei, e quale
periodo della sua vita sarebbe stato più congeniale per i miei scopi. Talvolta,
lei mi incuteva timore, perché improvvisamente appariva irritante e arrogante.
Soltanto dopo aver scoperto la celebre conversazione tra lei e Günter Gaus, mi
sono convinta che Hannah Arendt fosse veramente una persona affascinante,
arguta e piacevole. Dopo averli osservati insieme, ho capito cosa intendesse Gaus
quando ha detto, durante un’intervista, che lei era il tipo di donna che ti
conquista immediatamente.

  La sua
ricerca continua si è svolta mentre lavorava a una sceneggiatura, che lei ha
iniziato a scrivere nel 2003, assieme alla sceneggiatrice americana Pam Katz.
Nel 2006, ha deciso di incentrare il film, HANNAH ARENDT, che allora aveva il
titolo di lavorazione “The Controversy”, sui quattro anni che ruotano attorno
al processo di Eichmann del 1961.

Volevamo raccontare la storia di Hannah Arendt senza
sminuire l’importanza della sua vita e del suo lavoro, ma anche senza doverci
affidare alla struttura dispersiva di un tradizionale biopic. Dopo Rosenstraße
e The other Woman, Hannah Arendt rappresenta la mia terza
collaborazione con Pam Katz. Siamo riuscite a scrivere la sceneggiatura grazie
a una sorta di “ping-pong”, per cui discutevamo il lavoro per mail, al telefono
e di persona, a New York, Parigi ed in Germania.

La prima domanda che ci siamo poste è stata: cosa
dovremmo scegliere per mostrare la vita di Hannah Arendt? La sua relazione con
Martin Heidegger, che molti probabilmente si aspettano? La sua fuga dalla
Germania? Gli anni passati a Parigi o quelli a New York? Dopo aver riflettuto
su queste possibilità, abbiamo capito che concentrarci sui quattro anni in cui
ha raccontato e scritto tanto su Eichmann fosse il modo migliore di mostrare
sia la donna che il suo lavoro. Il confronto tra Hannah Arendt e Adolf Eichmann
ci ha permesso di illuminare non solo il contrasto enorme tra questi due protagonisti,
ma anche di avere una comprensione migliore dei tempi oscuri dell’Europa del
ventesimo secolo. 

Hannah Arendt è celebre per aver dichiarato “Nessuno ha
il diritto di obbedire”. Con il suo fermo rifiuto di obbedire a nulla che non
fosse la sua conoscenza e le sue convinzioni, lei non avrebbe potuto essere più
diversa di Eichmann, che riteneva suo dovere essere fedele agli ordini dei suoi
superiori. In questa cieca lealtà, Eichmann ha abbandonato una delle
caratteristiche principali che differenziano gli esseri umani dalle altre
specie: la capacità di pensare in maniera autonoma. Il film mostra Hannah
Arendt come una teorica politica e una pensatrice indipendente che viene messa
di fronte al suo esatto contrario: il burocrate sottomesso che non ragiona e
che sceglie di essere un sottoposto entusiasta.

Lei è riuscita a catturare efficacemente il personaggio
“non pensante” di Eichmann attraverso i filmati d’archivio in bianco e nero del
processo.

 Si può mostrare l’autentica “banalità del
male” solo osservando il vero Eichmann. Un attore distorcerebbe la sua
immagine, senza renderla più accurata. Uno spettatore potrebbe ammirare la
bravura di un attore, ma non riuscirebbe a capire la mediocrità di Eichmann. Si
trattava di un uomo incapace di formulare una singola frase corretta dal punto
di vista grammaticale. Ascoltando il modo in cui parla, si capisce che non è in
grado di analizzare in maniera significativa quello che stava facendo. C’è
soltanto una scena con Barbara Sukowa che si svolge nel tribunale e in cui
c’era bisogno di un attore, così vediamo Eichmann di spalle.

Abbiamo girato le altre scene in tribunale dalla sala
stampa, dove il processo veniva mostrato su diversi monitor. Questo era un modo
per utilizzare il vero Eichmann, grazie ai filmati d’archivio, in tutti i
momenti importanti. Inoltre, abbiamo pensato che, visto che la Arendt era
un’accanita fumatrice, avrebbe passato più tempo nella sala stampa che in
tribunale. In questo modo, avrebbe potuto seguire il processo e fumare allo
stesso tempo. Molto tempo dopo aver scritto questa sequenza, siamo riuscite a
parlare con la nipote della Arendt, Edna Brocke, che era con lei a Gerusalemme
in quel periodo. Lei ci ha confermato che la “zia Hannah” aveva passato buona
parte del suo tempo nella sala stampa, perché lì poteva fumare!

  HANNAH ARENDT non sarebbe un film della
Von Trotta se non potessimo vedere Hannah Arendt come una donna, una compagna
di vita e un’amica. Insomma, se non capissimo meglio la complessità di questa
grande pensatrice.

  Il film parla anche della sua vita a New
York, il rapporto con gli amici, l’amore per Martin Heidegger – anche se
eravamo convinti che Heinrich Blücher sia stata una presenza più importante per
lei, definendolo le sue “quattro mura”, perché lui rappresentava la sua vera
“casa”.  Heidegger è stato il primo amore
di Hannah e lei ha mantenuto un legame con lui nonostante il suo rapporto con i
nazisti. All’inizio della mia ricerca, Lotte Köhler, l’unica amica di Hannah
Arendt ancora in vita, mi ha dato il libro sulla corrispondenza pubblicata tra
Heidegger e la Arendt, dicendomi anche che la Arendt aveva conservato tutte le
sue lettere nel cassetto del letto. In un flashback, vediamo che la Arendt
incontra Heidegger durante una visita in Germania. Questo incontro si è svolto
veramente, sebbene alcune settimane prima lei avesse scritto una lettera al suo
amico e mentore, Karl Jaspers, in cui definiva Heidegger un assassino. La
nipote della Arendt mi ha riferito che sua zia spiegava il rapporto duraturo
con Heidegger insistendo sul fatto che “alcune cose sono più forti di un essere
umano”.

Per il ruolo di Hannah Arendt lei ha
scelto ancora una volta Barbara Sukowa. Perché?

Fin dall’inizio, pensavo a Barbara Sukowa per il ruolo di
Hannah Arendt e per fortuna sono riuscita a superare le sue resistenze. Non
avrei fatto il film senza Barbara. Avevo bisogno di un’attrice da mostrare
mentre stava riflettendo in silenzio e lei era l’unica in grado di superare
questa prova difficile.

La bravura di Barbara Sukowa è evidente, tra tante scene
che potremmo segnalare, nel discorso di otto minuti alla fine del film.  Pochi registi avrebbero tentato di mantenere
l’attenzione del pubblico per così tanto tempo. Perché ha preso questa
decisione?

Molti pensavano che un film su Hannah Arendt dovesse
cominciare con un discorso solenne, ma noi iniziamo con una conversazione tra
amiche che parlano dei loro mariti. Volevamo che il discorso finale fosse il
momento in cui il pubblico arriva a capire i risultati che il suo pensiero ha
portato alla luce. Soltanto dopo che l’abbiamo osservata mentre lei ha maturato
i suoi pensieri sul personaggio di Eichmann, e mostrato gli attacchi brutali e
ingiusti ricevuti per questo, siamo pronti a sentirla per così tanto tempo. A
quel punto, uno si è innamorato di lei e del suo modo di pensare. Inoltre,
l’interpretazione di Barbara è intelligente ed emozionante, tanto da tenerti
con il fiato sospeso. Siamo arrivati gradualmente a questo momento, fornendo
piano piano al pubblico l’opportunità di capire le fondamenta dei complessi
pensieri della Arendt e comprendere cosa intendesse per la banalità del male.
Il discorso rappresenta il climax intellettuale ed emotivo di tutto il film.

La troupe era piena di donne
importanti: la cosceneggiatrice Pam Katz, la produttrice Bettina Brokemper, la
direttrice della fotografia Caroline Champetier, la montatrice Bettina
Böhler… Una coincidenza o una scelta consapevole?

Non lo avevo pianificato, è successo. Ma chissà, forse
non è stata una coincidenza. Comunque, Hannah Arendt era il contrario di una
femminista e HANNAH ARENDT non è il tipico “film al femminile”. E’ una
pellicola realizzata da persone impegnate e professionali, che vogliono
raccontare una storia che renda giustizia alla vita di Hannah Arendt.

Secondo Karl Jaspers, insegnante e amico di Hannah
Arendt, “il coraggio di esprimersi in pubblico è possibile solo quando c’è
fiducia tra la gente”. Tutti i suoi film possiedono questo coraggio. Come lo ha
sfruttato in HANNAH ARENDT?

Seguendo lo spirito di Hannah Arendt: fidandomi della
capacità del pubblico di superare l’ignoranza e l’incredulità, per maturare il
desiderio di capire e alla fine arrivare effettivamente a questa comprensione.


I PERSONAGGI STORICI

HANNAH ARENDT

Nata il 14 ottobre 1906 a Hannover, Hannah Arendt aveva
dei genitori ebraici integrati e socialdemocratici. Studiò filosofia e teologia
a Marburg e Heidelberg con professori come Karl Jaspers, Edmund Husserl e
Martin Heidegger, con il quale ebbe una relazione sentimentale.

Il suo primo matrimonio, con il filosofo Günther Anders,
durò dal 1929 al 1937. Nel 1933, dopo essere stata imprigionata per un breve
periodo dalla Gestapo, fuggì attraverso Carlsbad e Ginevra per arrivare a
Parigi. Lì, collaborò con la Youth Aliyah, un’organizzazione ebraica che
aiutava i bambini ebrei a emigrare in Palestina. Nel 1937, a Parigi incontrò
Heinrich Blücher, un ex comunista e autodidatta, che proveniva dalla classe
operaia e che sposò nel 1940.  Dopo
l’internamento e la fuga dal famigerato campo di detenzione di Gurs, nel 1941
emigrò con il marito e la madre negli Stati Uniti.

Per molti anni, si guadagnò da vivere scrivendo articoli
e lavorando nel mondo dell’editoria, fino a quando non trovò un lavoro come
segretaria di direzione dell’organizzazione Jewish Cultural Reconstruction. Nel
1951, ottenne la cittadinanza americana e lo stesso anno fu pubblicato il suo libro
Le origini del totalitarismo – uno studio approfondito del regime nazista e
quello stalinista
, diventato subito un classico tra gli intellettuali e che
lanciò la sua carriera in America. Dopo essere stata insegnante alle università
di Princeton e Harvard, ottenne la cattedra all’Università di Chicago e alla
New School for Social Research di New York.

Nel 1958, pubblicò il suo libro Vita activa e nel
1961 si recò a Gerusalemme per raccontare il processo di Eichmann per la
rivista New Yorker, un reportage che poi sarebbe uscito nel 1963 in cinque
articoli, diventati oggetto di una grande attenzione da parte dei media. La
Arendt subì un’opposizione feroce e critiche pesanti, sia per il suo ritratto
dei Consigli ebraici che per quello di Eichmann. Ma il suo libro successivo, La
banalità del male: Eichmann a Gerusalemme
, si conquistò un posto di
assoluto rispetto, anche se non privo di polemiche, nelle discussioni più serie
sull’Olocausto. Ora, viene considerato uno dei suoi libri più importanti. La
Arendt morì a New York il 4 dicembre del 1975.

HEINRICH BLÜCHER

Nacque nel 1899 a Berlino. Heinrich Blücher, figlio di un
fattore morto prima della sua nascita, fu cresciuto dalla madre, una lavandaia.
Prima di terminare la scuola, fu costretto ad arruolarsi e mandato a combattere
nella Prima guerra mondiale, per poi, al suo ritorno, entrare nel Consiglio dei
soldati – uno dei tanti Consigli dei lavoratori che protestavano per le strade
alla conclusione di una guerra disastrosa. Heinrich Blücher entrò poi a far
parte della Lega Spartacus di Rosa Luxemburg e, poco dopo, diventò un membro
del partito comunista tedesco. Heinrich Blücher aveva un forte desiderio di
imparare, ma non amava la scuola. Inoltre, evitava lavori regolari per poter
leggere il più possibile. Nonostante fosse un gentile, nella sua avventurosa
ricerca di un’istruzione, arrivò ad associarsi a un gruppo di giovani sionisti.
Leggeva Shakespeare, Marx ed Engels, e Trotsky. Inoltre, aveva lavorato a
diversi progetti di cabaret e cinematografici, prima di scappare dal regime
nazista nel 1933, per recarsi a Praga e in seguito in Francia. 

E’ qui che incontrò e si innamorò rapidamente di Hannah
Arendt. Dopo un matrimonio da giovane e un altro che era servito soltanto per
far ottenere la cittadinanza a un’amica, la Arendt diventò così la sua terza
moglie. Insieme, scapparono attraverso la Spagna e il Portogallo negli Stati
Uniti, dove Heinrich Blücher insegnò alla New School for Social Research di New
York; e dal 1952, nonostante non possedesse neanche un diploma di scuola
superiore, fu impegnato come professore di filosofia al Bard College. Heinrich
Blücher morì nel 1970. In una delle sue conferenze, senza citarlo apertamente,
parla del suo rapporto con Hannah Arendt: “…Quello che conta ora è la visione
congiunta di due personalità che si riconoscono e rispettano a vicenda; che in
effetti possono dirsi tra loro, ‘ti assicuro lo sviluppo della tua personalità
e tu assicuri lo sviluppo della mia’. Questo è alla base del pensiero di ogni
vera comunità”.

Dopo 43 anni vissuti insieme, Hannah Arendt riteneva
pressoché impossibile immaginare la vita senza suo marito.

 KURT BLUMENFELD

Nato nel 1884 nella Prussia orientale. Nel 1904, iniziò a
studiare legge a Berlino, Friburgo e Königsberg. Nel 1909, incominciò la sua
carriera professionale come segretario di partito della federazione sionista
tedesca, diventandone successivamente il presidente. 

Come segretario generale della federazione mondiale
sionista dal 1911 al 1914, visitò per la prima volta la Palestina, dove poi
emigrò nel 1933. Già nel 1926, era il più importante sostenitore del sionismo
in Germania. Hannah Arendt venne portata a una delle sue conferenze dall’amico
Hans Jonas, e anche se non si convertì al sionismo, strinse un legame con Kurt
Blumenfeld che durò tutta la vita. Loro dibattevano ferocemente argomenti come
il sionismo, la politica, la diaspora, l’Olocausto, l’assimilazione, il ritorno
in Palestina e in generale l’identità ebraica. I resoconti di Hannah Arendt sul
processo a Eichmann e le sue teorie sulla “banalità del male” provocarono un
rifiuto doloroso da parte di questo amico stretto, che per lei era una figura
paterna. Quando la Arendt scoprì che Kurt Blumenfeld stava morendo, lo visitò
nuovamente in Israele, ma i due non riuscirono a superare le loro differenze.
Uno dei maggiori dispiaceri nella vita di Hannah Arendt fu proprio la mancanza
di tempo per riconciliarsi con Kurt Blumenfeld prima della sua morte, avvenuta
il 21 maggio 1963 a Gerusalemme.

ADOLF EICHMANN

Nato nel 1906 a Solingen da un padre contabile, abbandonò
la scuola ai tempi del liceo, iniziando un tirocinio come meccanico mai portato
a termine. Nel 1927, Adolf Eichmann entrò a far parte della
Deutsch-Österreichische Frontkämpfervereinigung (Associazione dei combattenti
del fronte della Germania e dell’Austria). Cinque anni più tardi, si iscrisse
al partito nazista tedesco e alle SS. Nel 1935, Adolf Eichmann venne trasferito
alla nuova “sezione ebraica”, dove diventò “responsabile degli affari ebraici”.
Ambizioso e impaziente di avere successo, in seguito diventò capo dell’Unità IV
D 4/4 e IV B 4, responsabile dell’intera organizzazione della deportazione
degli ebrei dalla Germania e dai Paesi europei occupati. 

Lui supervisionava tutti gli aspetti logistici,
dall’organizzazione dei trasporti all’utilizzazione dei treni della ferrovia.
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, Adolf Eichmann scappò da un campo di
internamento americano. Sotto falso nome e con il supporto di monaci cattolici,
così come di un passaporto del Vaticano, riuscì a fuggire in Argentina. Dopo
essere stato segnalato da ebrei tedeschi che vivevano nelle vicinanze, venne
rapito dagli agenti del Mossad israeliano nel 1960. Il processo a Gerusalemme
attirò l’interesse di tutto il mondo. Oltre 600 giornalisti erano presenti
quanto Adolf Eichmann si dichiarò “non colpevole delle accuse”. Il verdetto
definitivo, comunque, fu di colpevolezza e la punizione fu di “morte per
impiccagione”. 

Dopo che il suo appello venne respinto, Adolf Eichmann fu
impiccato in Israele il 31 maggio del 1962. Per evitare di seppellire i suoi
resti sul suolo israeliano, il suo corpo venne cremato e le sue ceneri sparse
nel Mediterraneo.

MARTIN HEIDEGGER

Nacque nel 1889 a Meßkirch. Già prima dei trent’anni,
divenne uno dei maggiori filosofi in Germania. Grazie alla sua importante opera
Essere e tempo pubblicata nel 1927, fondò un nuovo orientamento
filosofico legato al concetto fondamentale dell’esistenza umana e dell’Essere.
Dal 1923 al 1927 insegnò all’Università di Marburg, dove studiava anche Hannah
Arendt. Con lei, nacque un rapporto d’amore appassionato. La relazione di
questo insegnante sposato e padre di due figli con la sua studentessa
diciannovenne era ovviamente molto problematica. 

Martin Heidegger adorava questa studentessa brillante, ma
non voleva rischiare di perdere il posto e non aveva nessuna intenzione di
lasciare la moglie. Dopo che Hannah Arendt abbandonò Marburg, la loro relazione
finalmente si concluse e poco dopo lei sposò Günther Anders. Sebbene non
fossero più in contatto da anni, lei subì uno shock e una forte delusione
quando scoprì che Martin Heidegger, il suo stimato professore e primo amore,
aveva preso la sorprendente decisione di entrare a far parte del partito
nazista nel 1933.

Nonostante tutto, lei nel 1950 tornò a essergli amica e
anche se con diverse lunghe interruzioni, il rapporto rimase importante per
entrambi, fino alla conclusione delle loro vite. Dopo la guerra, Martin
Heidegger era stato ostracizzato e solo grazie agli sforzi della Arendt poté
insegnare e pubblicare nuovamente. Lei non dimenticava le sue scelte, ma
credeva che fosse uno dei maggiori filosofi del ventesimo secolo e che il suo
lavoro meritasse un posto importante nel panorama del pensiero occidentale.

HANSJONAS

Nacque il 10 maggio 1903 a Mönchengladbach. Suo padre era
un artigiano tessile, la madre era la figlia del rabbino capo di Krefeld.
Nonostante l’opposizione del padre, Hans Jonas entrò in contatto con i circoli
sionisti. Inoltre, incominciò a studiare filosofia e storia dell’arte a
Friburgo e a Marburg seguendo le lezioni di Martin Heidegger ed Edmund Husserl.
Incontrò Hannah Arendt quando entrambi erano dei giovani studenti e, a parte
un’amara ma temporanea pausa, i due rimasero amici per il resto delle loro
vite. Nell’agosto del 1933, Hans Jonas emigrò a Londra.

Nel 1935, andò a Gerusalemme, dove nel 1944 entrò a far
parte della Brigata ebraica dell’esercito britannico e combatté contro i
tedeschi. Nel 1949 si trasferì in Canada e poi nel 1955 a New Rochelle, vicino
New York, dove fu felice di ritrovare Hannah Arendt e incontrare la sua cerchia
di amici. Insegnò in diverse università prestigiose degli Stati Uniti,
soprattutto come professore di storia della filosofia e di scienze umane. Il
libro e gli articoli di Hannah Arendt su Adolf Eichmann portarono a un intenso
conflitto personale tra loro, che mise in seria discussione l’amicizia che li
legava. Non si parlarono per due lunghi anni, fino a quando sua moglie Lore
aiutò Hannah Arendt e Hans a superare i loro contrasti.

MARYMcCARTHY

Nacque a Seattle nel giugno del 1912 e rimase orfana
all’età di sei anni. Passando da una famiglia adottiva all’altra, venne a
contatto con la religione cattolica, protestante ed ebraica. Iniziò a
pubblicare le sue opere a 30 anni e rapidamente diventò un’importante
scrittrice e femminista. Il suo libro più famoso fu un romanzo intitolato Il
gruppo
, che venne pubblicato nel 1963. Si trattò di un enorme successo
commerciale, ma lei venne stroncata da molti critici maschi, tanto da arrivare
a sostenersi a vicenda con Hannah Arendt, che nello stesso periodo veniva
attaccata per i suoi articoli su Adolf Eichmann. La McCarthy scrisse un
appassionato e scrupoloso saggio difendendo il lavoro di Hannah Arendt, oltre
che supportarla fedelmente durante i lunghi mesi di rabbia e ostilità che
contraddistinguevano ogni aspetto della vita pubblica e privata della Arendt.
La loro amicizia fu profonda e intensa, insieme questa europea e questa
americana incarnavano tutto quello che c’è di ammirevole nelle donne forti e
intellettuali. La pubblicazione della loro corrispondenza Between Friends:
The Correspondence 1949 – 1975
ottenne una grande popolarità in tutto il
mondo. Con il suo modo di esprimersi diretto e coraggioso, Mary McCarthy era
impegnata in tante discussioni letterarie e politiche. Quando Hannah Arendt
morì improvvisamente nel 1975, alla McCarthy venne affidata la responsabilità di
completare il suo libro La vita della mente. 

 

MARGARETHE VON TROTTA (REGISTA E
SCENEGGIATRICE)

La Von Trotta è nata a Berlino nel 1942 e ha
studiato letteratura e lingua tedesca e romanza a Monaco e Parigi. E’ stata
un’attrice importante nei film di Rainer Werner Fassbinder e Herbert
Achternbusch. Ha lavorato sulle sceneggiature del suo ex marito, Volker
Schlondorff, ed è stata coregista dell’adattamento cinematografico del romanzo
di Heinrich Böll Il caso Katharina Blum (The Lost Honor of Katharina
Blum).

Margarethe von Trotta è una delle
maggiori autrici del mondo. Dopo il suo esordio con il film indipendente Il
secondo risveglio di Christa Klages
(The Second Awakening of Christa
Klages, 1978), ha realizzato dei film importanti e controversi come Rosa
Luxemburg
(1986), Rosenstraße (2003) e Vision: From the Life of
Hildegard von Bingen
(2009). Nel corso degli anni, ha dato vita a una serie
di opere impegnate e importanti, che hanno dimostrato il suo talento per
mettere assieme esperienze personali e tematiche politiche, sviluppando una
forma artistica personale, ricca di emozioni e in grado di suscitare
l’interesse di un ampio pubblico. Ha realizzato film per il cinema e la
televisione, ottenendo grandi successi nella sua seconda patria, l’Italia,
grazie a pellicole come Anni di piombo (Marianne and Juliane, Leone
d’oro al Festival di Venezia nel 1981) e Rosenstraße (Coppa Volpi per la
migliore attrice a Katja Riemann nel 2003).


IL CAST

BARBARA SUKOWA (Hannah Arendt)

Durante gli anni in cui ha collaborato con Rainer Werner
Fassbinder e Margarethe von Trotta, Barbara Sukowa ha fatto la storia del
cinema tedesco. Nata a Brema, ha iniziato la sua carriera alla celebre
Max-Reinhardt-School di Vienna e poi si è esibita spesso sui palcoscenici teatrali. 

Ha lavorato con R.W. Fassbinder alla sua leggendaria
miniserie Berlin Alexanderplatz e al film Lola. Assieme a
Margarethe von Trotta, è stata impegnata in Anni di piombo (Marianne and
Juliane), Rosa Luxemburg, L’Africana, The Other Woman e Vision: From the
Life of Hildegard von Bingen
. Inoltre, ha collaborato con altri celebri
registi, tra cui Volker Schlöndorff per Passioni violente (Homo Faber –
Voyager), Lars von Trier (Europa), Tim Robbins con Il prezzo della
libertà
(Cradle Will Rock), Michael Cimino grazie a Il siciliano
(The Sicilian), David Cronenberg (M. Butterfly) e Hans Steinbichler (Hierankl).
All’inizio degli anni novanta, Barbara Sukowa si è trasferita a New York e ha
proseguito la sua carriera nelle vesti di cantante, lavorando con alcune delle
migliori orchestre e i più bravi direttori del mondo, tra cui la Berlin
Philharmonic, la Cleveland Orchestra, la Vienna Philharmonic, la LA
Philharmonic, la Schoenberg Ensemble diretta da Claudio Abbado, la Esa-Pekka
Salonen, la Reinbert de Leeuw, la Concertgebouw e la Carnegie Hall.

Ha ottenuto dei riconoscimenti per le sue interpretazioni
ai Festival di Cannes e Venezia, tre premi ai German film Awards, un Adolf
Grimme Award e più di recente un premio come miglior interprete a Montreal per
The Invention of Curried Sausage nel 2008. Oltre alla musica classica, Barbara
Sukowa è impegnata nei concerti con la sua rock band X-Patsy.

AXEL MILBERG
(Heinrich Blücher)

Laureato alla prestigiosa Otto-Falckenberg-Schule di
Monaco, Axel Milberg ha fatto parte della Munich Kammerspiele dal 1981 al 1998
e ha lavorato con registi come Peter Zadek e Dieter Dorn. Axel Milberg è
diventato popolare al pubblico televisivo e cinematografico grazie al film After
Five in the Forest Primeval
di Hans-Christian Schmid. Per la lettura
dell’audiolibro The Chinese di Henning Mankell, ha ricevuto il CORINE
International Book Award. Inoltre, ha conquistato diversi riconoscimenti per il
suo lavoro a teatro e in televisione, in particolare il premio Grimme, il
Bavarian Film Prize e il North German Film Award.

JANET MCTEER
(Mary McCarthy)

Janet McTeer ha frequentato la Royal Academy of Dramatic
Art di Londra nel 1986 e ha esordito al cinema grazie a Mistery (Half
Moon Street), dove recitava con Sigourney Weaver e Michael Caine. Grazie alla
sua interpretazione a Broadway nel dramma di Ibsen Casa di bambola (A
Doll’s House), ha ricevuto il Tony Award come miglior attrice protagonista,
oltre a ottenere analoghi successi con il Laurence Olivier Theatre Award nel
1997 e il London Critics Circle Theatre Award nel 1996. Nel 2000, è stata
candidata agli Oscar come miglior attrice protagonista per In cerca d’amore
(Tumbleweeds), un ruolo che le è valso anche un Golden Globe e un Gotham
Independent Film Award, in quest’ultimo caso per la miglior interprete
emergente. Nel 2005, è stata protagonista della pellicola di Terry Gilliam Tideland
– Il mondo capovolto
(Tideland). Nel 2009, ha ricevuto una candidatura agli
Emmy per il ruolo di Clementine Churchill nel film per la televisione Into
the storm – La guerra di Churchill
(Into the Storm). Nel 2012, è stata
candidata all’Oscar per la migliore attrice non protagonista grazie alla parte
di Hubert Page, al fianco di Glenn Close in Albert Nobbs.

JULIA JENTSCH (Lotte Köhler)

Julia Jentsch è nata nel 1978 a Berlino. Ha studiato alla
Ernst Buschdrama e ha iniziato la sua carriera sul palcoscenico. Nel 2002, è
stata proclamata l’attrice più promettente da Theater heute, un’importante
rivista di teatro tedesca. Dal 2001 al 2006, ha fatto parte della Munich
Kammerspiele, in cui ha interpretato ruoli come Antigone, Desdemona e Gretchen,
partecipando a spettacoli teatrali classici e moderni.

Nel 2007, ha accettato la sfida di incarnare la parte di
Effi in Effi Briest, diventando la quinta attrice a farlo, dopo Marianne
Hoppe (1939), Ruth Leuwerik (1956), Angelica Domröse (1970) e Hanna Schygulla
(nella versione di Fassbinder del 1974).

Nel 2004 Julia Jentsch si è aggiudicata il Bavarian Film
Award per la miglior giovane attrice grazie a The Edukators, mentre La
rosa bianca – Sophie Scholl
(Sophie Scholl – The Final Days) le è valso
l’Orso d’argento al Festival di Berlino nel 2005, il German Film Prize e
l’European Film Award.

ULRICH NOETHEN
(Hans Jonas)

Ulrich Noethen è nato a Monaco nel 1959. Ha studiato
recitazione a Stoccarda e ha lavorato sui palcoscenici di Friburgo, Colonia e
Berlino. Noethen è stato scoperto da Dominik Graf nel 1995, quando ha
partecipato a Der Skorpion assieme a Götz George. Ulrich Noethen ha
interpretato al cinema diversi ruoli importanti, diventando uno dei maggiori
attori del piccolo e del grande schermo nel suo Paese. Si è aggiudicato il
German Film Award come miglior attore protagonista nel 1998 grazie a The
Harmonists
e il Bavarian Film Prize nel 2001 per The Slurb. Nel 2006,
ha ottenuto la Golden camera per il suo lavoro in televisione, a cui si è
aggiunto il prestigioso Grimme award sia nel 2009 che nel 2010.

MICHAEL DEGEN
(Kurt Blumenfeld)

Nato a Chemnitz, ha studiato alla scuola di recitazione
Deutsches Theater di Berlino, dove ha anche esordito sul palcoscenico. Dopo due
anni passati in Israele, esibendosi in vari teatri di Tel Aviv, Bertolt Brecht
gli ha chiesto di far parte del Berliner Ensemble nel 1951. Da quel momento,
Michael Degen si è esibito in tutti i principali teatri di lingua tedesca,
lavorando con alcuni dei maggiori registi in circolazione, tra cui Ingmar
Bergman, Peter Zadek e George Tabori.

Nel 1978, ha partecipato all’adattamento firmato da Franz
Peter Wirth dei Buddenbrooks, tratto dall’omonimo romanzo di Thomas
Mann. A questo, hanno fatto seguito importanti ruoli, tra cui quello
nell’adattamento di Claude Chabrol de  Les
affinités électives
(1981) di Goethe e uno dei protagonisti della
trasposizione del romanzo di Feuchtwanger realizzata da Egon Monk Oppermann
Family
nel 1983. Oggi, Michael Degen è uno dei maggiori interpreti del
cinema e della televisione tedesca. A parte la sua impressionante carriera sul
piccolo e grande schermo, Michael Degen è anche rimasto fedele al palcoscenico.

La sua autobiografia Not all of them were murderers. A
childhood in Berlin
, pubblicata nel 1999, è diventata un bestseller ed è
stata portata sullo schermo da Jo Baier. Nel marzo del 2011, ha pubblicato
l’acclamato romanzo Family Ties, che parla del figlio più giovane di Thomas
Mann.